Alice Basso è una forza della natura.
Se non ci credete così sulla parola, venite a vederla in azione e vi travolgerà.
Alice Basso di lavoro fa la editor, mentre Vani, la protagonista dei suoi romanzi (L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome e Scrivere è un mestiere pericoloso, entrambi editi da Garzanti), è una ghostwriter ombrosa e intelligentissima che si trova, suo malgrado, a collaborare con la polizia per risolvere strani casi che riportano, sempre, al mondo dell’editoria.
Abbiamo la fortuna di avere Alice con noi la settimana prossima, giovedì 21 luglio alle ore 20, al Casseta Book Festival, al Parco le Serre di Grugliasco. Indagheremo con lei e con Vani tutti i risvolti del mestiere di scrivere, soprattutto quelli più gialli: ma per scaldare i motori, abbiamo chiesto ad Alice di rispondere alle cinque domande canoniche che abbiamo già proposto a Gabriele Di Fronzo e a Vittoria Baruffaldi.
Ecco cosa ci ha risposto…
1. Partiamo dalle basi: prima della scrittura, di solito, viene la lettura. Tu che lettrice sei?
Abbastanza vorace ma molto frustrata. Mi spiego meglio: io leggo un casino, ma ultimamente (sì, col cavolo: diciamo da almeno tre anni a questa parte) leggo per il 90% per lavoro. Significa che la sera, quando la gente normale prova la soddisfazione di aprire un libro che si è scelta, io di solito apro un libro che mi è stato assegnato da uno degli editori per cui lavoro, e di cui devo produrre una scheda di valutazione da cui l’editore possa evincere se valga la pena pubblicarlo o no. Spesso mi capita roba buona, raramente delle schifezze, ma resta il fatto che di libri che leggo perché l’ho voluto io, proprio io, solo io! me ne passano fra le mani pochissimi, e la mia risposta più frequente quando parlo di libri con gli amici (specie se si tratta di novità) è da un pezzo “Non l’ho letto ma ce l’ho in lista”. Lista che nel frattempo ha raggiunto un chilometraggio da frequent flyer.
2. Se potessi prendere un caffè con un personaggio letterario, chi sceglieresti? Perché?
Amy March. Perché è una piccola Rossella O’Hara sepolta in una famiglia di buonisti stucchevoli e mi piacerebbe un casino sentirle raccontare la sua versione dei fatti. Oppure Philip Marlowe, per farmi raccontare le sue indagini mentre beviamo superalcolici.
3. Ci racconti un ricordo particolare del tuo vissuto legato al mondo dei libri e della lettura?
Oddio, ho l’imbarazzo della scelta. Lavorando come redattrice in una piccola casa editrice, collezionare aneddoti è attività quasi giornaliera. Ho aneddoti sugli autori che prima venderebbero la loro madre per farsi pubblicare e poi, un secondo dopo che hanno firmato il contratto, vedono lo staff della redazione come un pool di scienziati nazisti che vogliono solo mutilare sadicamente il loro prezioso bambino. Aneddoti su promotori librari a cui tu presenti schede articolate e ricche e che riducono il libro di turno a “c’è sesso e costa poco”. Aneddoti su agenti immobiliari che mentre ti portano a visionare un appartamento ti chiedono che lavoro fai e poi ti chiudono nell’appartamento medesimo finché non prometti di leggere la raccolta inedita di poesie che hanno nel cassetto da anni. Da dove comincio?
4. Parliamo di piaceri proibiti: c’è un libro o un autore che hai letto con gusto ma sentendoti un po’ in colpa?
Premesso che ci sono un sacco di posti in cui percepisco ondate di disapprovazione anche quando dichiaro ad alta voce di essere da sempre una grande fan di Stephen King, di autori veramente riprovevoli secondo l’opinione comune in verità ne ho letti proprio pochi e grazie al cielo non mi sono piaciuti sul serio (cioè, tipo, Dan Brown. Andiamo). Altri temo che, se avessi abbastanza tempo o interesse per leggerli, potrebbero non dispiacermi davvero (sto pensando a quel che sento sulla Kinsella). Ma semmai mi succede più spesso il contrario, e cioè di sentirmi in colpa per NON avere letto – o, ancora peggio, aver tentato di leggere e poi piantato lì – autori che l’opinione pubblica invece santifica. Non dico tanto Proust, la cui Recherche in comodo cofanetto, da quando mi fu regalata, fa da piedistallo a un paio di vecchi peluche (perché, diciamocelo: TUTTI fanno fatica a leggere Proust), ma per esempio Eco: le prime pagine di “Il pendolo di Foucault” per me hanno costituito una fatica improba. Ma pure col caro vecchio Dickens ho avuto dei problemi, eh. Ah, e odio il Piccolo Principe. Quando viene fuori, in genere vengo guardata come se avessi detto che per hobby squarto gattini vivi.
5. Un libro che non ti stancherai mai di consigliare.
Ah, ce l’ho. Il mio libro preferito di sempre: “La principessa sposa” (conosciuto anche come “La storia fantastica”), di William Goldman. E’ un romanzo per ragazzi da cui negli anni Ottanta è stato anche tratto un film carino. Ed è, be’, tutto quello che si può desiderare che sia un libro: avvincente, esilarante (ma esilarante davvero, a strati diversi di ironia che cogli a seconda di come e quando lo leggi), metaletterario (c’è una cornice narrativa geniale) e capace di farti andar giù i messaggi più crudi del mondo (primo fra tutti: “la vita non è sempre giusta”) senza che tu quasi te ne accorga. Mi sento talmente in debito e grata nei confronti dell’autore che ogni tanto vado su Wikipedia a controllare che sia sempre vivo (è del 1931).
Comunicazione di servizio: a causa di un tempo da lupi, il Rave Grammaticale con Andrea de Benedetti è stato spostato a martedì 26 luglio. C’è ancora un’occasione per mettere alla prova le nostre competenze in merito e portarsi a casa premi agghiacciant…ehm, meravigliosi!