Pensavo, beh, quest’ultimo pezzettino dovrà essere memorabile dovrà essere speciale, dovrà essere il più bello la punta dell’iceberg dei pezzettini tutti, un riscatto un’apoteosi dei pezzettini.
Poi ho pensato, No, che invece l’ultimo pezzettino sarebbe dovuto essere un pezzettino tra gli altri, un pezzettino anche meno degli altri, un pezzettino normale che celebra le tazze rotte e incollate, con quel segno sottilissimo lungo la crepa, i guanti per lavare i piatti di cui il destro con un buco minuscolo in un dito, e le facce con la bocca aperta dallo stupore che vedo ogni mattina nel marmo del tavolo.
Che rappresenti me, in quanto essere imperfetto, nell’atto di tentare, dopo novantanove volte, di non sbagliare a dire.
E dire, senza sapere ancora mai dire.
La benedizione di scoccare la freccia e mancare, per la centesima volta, il centro.