Vado al supermercato e c’è l’uomo in piedi con la divisa della sicurezza azzurra che io chiamo Lo sparatore.
Lo sparatore, se lo guardo negli occhi, li abbassa.
Non vuole essere visto mentre prende la mira.
Mi indica il polso. Mi dice Lo sollevi. Oggi non mi spara in fronte? Sorride confuso. Gli porgo il polso e lui spara.
Lo sparatore prima cosa faceva, che adesso non fa più?
Qual era, prima, il centro attorno a cui gravitava la vita dello sparatore, che adesso, a ben pensarci, sembra un secolo che fa lo sparatore. Sembra non abbia mai fatto altro.
Dalle elementari, dice lo sparatore, ho desiderato sempre questo.
Mi sono preparato con pazienza e costanza, a prendere la mira, a dire prego, a dire Buona giornata a lei.
E alla fine il suo sogno si è davvero realizzato. Uno sparatore professionale non spara troppo in fronte, dice, non tutti i giorni. È indice di sciatteria, di poco riguardo, di poca fantasia. Basta cosi poco, un polso, il collo, persino, avendo l’accortezza di sollevare un po’ i capelli, la nuca.
Un giorno l’ho incontrato alle poste, era in coda con me, facevamo la fila.
L’ho riconosciuto perché era calmo, mite, in attesa del suo turno e quando l’ho salutato mi ha sorriso, poi ha abbassato lo sguardo.
Come se avesse salutato un fantasma.
Al fondo della fila l’altro sparatore ci attendeva. Si sono intesi da lontano, con un cenno sobrio.
Il mio sparatore ha fatto tutto da solo, ha indicato una porzione di pelle libera, bianca e liscia, appena sotto l’orecchio.
L’altro ha eseguito.
Tra colleghi, mi aveva detto poco prima il mio sparatore, ci si capisce al volo.