Quando penso all’Islanda penso agli islandesi e mi sento in soggezione, forse per via della lingua o della distanza, li vedo grandi, do loro importanza.
Però, se penso a un islandese che pensa all’Italia, al fatto che per lui uno di noi preso a caso assuma lo status di italiano, nell’accezione esotica, mi accorgo di questa specie di trappola, che rende i lontani più patinati, più avvincenti.
E penso che una cosa simile accada anche all’amore, che visto da lontano si può vedere nella sua perfezione,
come il sole o la luna o un fiore,
ma più ti avvicini meno lo distingui, e, a un certo punto, per eccesso di prossimità, diventa come è un italiano per un italiano, un islandese per un islandese.