Ho, nei confronti delle cose troppo belle, come le tazze di porcellana o le teiere con vicino dei fiori riposti ad arte in un vaso accanto alle candele, un senso come di diffidenza.
Ma non nei confronti delle cose, nei confronti di me stessa.
È come se non potessi capirla, quella bellezza così eterea, cosi pura.
È come se tutte quelle cose belle, i fiori, le candele, presupponessero uno stato, un gesto interiore, che in me non è mai alloggiato.
Io appartengo a loro per assenza.
Contemplo la loro permanenza, la loro certezza, il loro brillare bene.
Lo stare di queste cose belle, in posa, a sottolineare la mia estraneità. Non sei di questa casa – dicono. Infatti.
Il mio gesto è sempre incompleto.
Un frammento di mancanza.
Il riflesso muscolare, lo strappo del corpo, che ti fa sobbalzare, per un sogno dove in sogno cadi e, per non morire, ti fa svegliare.