Anno nuovo, buone vecchie abitudini.
I pezzettini di Valentina Diana, ovvero i frammenti di narrazione e bellezza di una scrittrice bravissima, il suo regalo generoso per noi e per tutti quelli che leggono.
Mettetevi comodi, e godetevela.
Quando ero piccola credevo che i grandi avessero un’idea chiara delle cose.
Mi sembrava che tutto, le regole, la politica, il modo in cui erano fatte le strade e le lampadine, facesse parte di quella saggezza che avevano i grandi, che era dentro di loro per il fatto di aver vissuto e capito ogni cosa.
Non pensavo che i grandi, per esempio, potessero non sapere perché cadeva la neve, e non pensavo che un grande potesse comportarsi in modo brutale o stupido con qualcuno senza una ragione.
Ero sicura che i grandi fossero i detentori di alcune sicurezze e certezze che tenevano su tutto in modo logico, nonostante le sfortune, nonostante gli incidenti e le disgrazie e il dolore.
Non mi spiegavo le guerre, ma le guerre erano lontane nel tempo e nello spazio.
E i grandi che conoscevo io erano in pace, chiedevano per favore e rispettavano le regole. Quindi era tutto abbastanza insieme, intero.
Se capitava che vedessi un grande urlare, o picchiare un cane o insultare qualcuno più debole di lui, la spiegazione era sempre È un fascista.
I fascisti potevano spiegare il perché del malfunzionamento di tutta la realtà.
Se un grande non era adulto, se non si comportava in modo coerente se, in definitiva, non ispirava fiducia, doveva per forza essere un fascista.
Nei fascisti avevo riposto tutte le spiegazioni mancanti, tutte le lacune e i vuoti di logica, tutto il buio, come una fede.
La fede nei fascisti mi metteva al riparo dal sospetto che i grandi fossero incrinati, che scricchiolassero, che la vita fosse pericolosa e che fosse pericoloso fidarsi.
Quindi, si può dire, i fascisti, sacrificandosi loro come fusibili, salvavano gli altri adulti dal baratro, spiegavano tutto. Il teorema.